Capita spesso che pazienti interessati ad un impianto dentale permanente non vengano ritenuti idonei a causa della mancanza di supporto osseo. Negli impianti infatti le viti in titanio vengono inserite direttamente nell’osso mandibolare o mascellare, a cui poi si saldano naturalmente. Se questo viene a mancare l’unica opzione praticabile è la rigenerazione con diversi metodi.
Cause della perdita di osso nelle arcate I motivi per cui si ricorre alla rigenerazione sono essenzialmente due: l’assenza di osso per conformazione fisica del soggetto, e la perdita in seguito ad una patologia. La seconda è quella che colpisce il maggior numero di paziente che, affetti da parodontite grave o da tumori, perdono letteralmente porzioni di mandibola o mascella. La parodontite infatti è un infezione batterica causata dalla cattiva igiene che porta alla retrazioni di gengive e ossa del cavo orale. Nel caso fossi affetto da parodontite a questo stadio dovrai prima curare l’infezione e poi programmare un intervento di rigenerazione, se necessario. Parodontite e rigenerazione per impianti sono strettamente correlate, infatti la caduta del dente tipica dell’infezione è causata proprio dalla perdita dell’osso. Un numero limitato di pazienti perde invece porzioni del cavo orale in seguito ad un trauma, caso in cui spetta al chirurgo ricostruire le parti danneggiate prima di pensare ad un impianto.
Tecniche di rigenerazione ossea dentale Le tecniche attualmente disponibili sono due con diversi vantaggi e svantaggi caratteristici: autotrapianto e rigenerazione artificiale. L’autotrapianto prevede l’estrazione di un pezzo di osso delle dimensioni adatte a partire da un’altra parte de corpo, spesso l’anca,e il reinserimento nell’area vuota. La rigenerazione artificiale consiste invece nel riempimento con materiale sintetico di una griglia in titanio opportunamente posizionata nell’area vuota. In entrambi i casi l’osso più vicino del paziente tende a fondersi con la parte innestata e ad avvolgerla completamente, integrandola. L’utilizzo di un frammento di anca ha il vantaggio di una migliore integrazione, vista l’origine autologa. L’osso artificiale invece porta meno irrorazione, essendo privo di vasi, ma l’intervento risulta essere di gran lunga più semplice e veloce. Esiste poi la possibilità di utilizzare ossa di altre persone, eterologhe, e addirittura animali come nel caso del bovino deproteinizzato.
Limiti della ricostruzione L’esito immediato dell’intervento è generalmente positivo e nei primi anni non si assiste a problemi di alcun genere. Purtroppo l’esito definitivo resta molto incerto a causa del possibile riassorbimento dell’osso rigenerato. Capita infatti dopo molti anni che il processo degradativo attacchi la porzione nuova o sintetica e porti alla condizione di partenza, senza intaccare naturalmente le ossa non rigenerata. In questo caso il maggior rischio è la caduta degli impianti. Per quanto riguarda la gravità dei casi di ricostruzione, non ci sono evidenti limiti ed è possibile ricostruire porzioni molto grosse di osso mancante. L’intervento si svolge con i rischi di un semplice intervento osseo in anestesia, pari quasi allo zero. La sua durata può arrivare però alle 8 ore nel caso si scelga l’autotrapianto.
Fase post operatoria Terminata l’operazione si assiste alla guarigione delle ferite in 30 giorni, con un margine leggermente inferiore per il metodo artificiale. L’osteointegrazione ha una durata molto variabile a seconda delle dimensioni da rigenerare e si passa dai sei ai dodici mesi. Questo tempo è influenzato anche dalla procedura scelta e tende ad essere più lungo con osso autologo, a volte associato ad una leggera riabilitazione. Raggiunta la stabilità si può procedere ad un normale intervento di impianto dentale. Per i casi lievi esiste anche la possibilità di accorciare i tempi grazie all’inserimento di viti e impianti già in fase di intervento, risparmiandosi la seconda operazione. Questo però porta alcuni svantaggi quali la maggior apertura alle infezioni, data dalla parte scoperta che sporge, e il rischio di mancata osteointegrazione. Capita infatti che l’impianto inserito prematuramente porti il nuovo osso, ancora instabile, a muoversi vanificando il lavoro fatto.